LA STORIA DI PIETRAPERTOSA

La Storia
Le origini di questo paese, l’antica Pietraperciata (ovvero pietra forata, per una grande rupe sfondata da parte a parte), si perdono lontane nei secoli che furono. Pare sia sorto nell’VIII sec. a.c. ad opera dei Pelasgi.Costoro, nel loro scorrere attraverso l’Italia meridionale e la Lucania, s’imbatterono nelle nostre terre e vi si fermarono. I monti coperti di boschi, le rocce possenti, in cui abbondavano grotte naturali, il torrente che scorreva a valle, l’aria salubre, dovettero far loro apparire questo posto sicuro e ricco di promesse. Avrebbero, infatti, ricavato dai boschi combustibile, frutti e selvaggina; dalle rocce le prime abitazioni e dal torrente l’acqua per i mille bisogni.

I Pelasgi costruirono le loro prime abitazioni nella parte bassa, per celarsi al nemico e per vivere tranquilli, e innalzarono sulle rocce, come posti di difesa e di vedetta, delle costruzioni fatte di blocchi sovrapposti, che alcuni decenni fa ancora si potevano notare sulla roccia chiamata “ostiello”. Questi antichi abitanti delle nostre terre rimasero signori incontrastati fino all’arrivo dei Greci che dalla costa si spinsero verso l’interno per portarvi le loro merci e i loro manufatti.Tracce della presenza ellenica la ritroviamo nella forma ad anfiteatro dell’abitato e nel nome di alcune località come “La costa di Diana”. Al tempo delle invasioni di Annibale giunsero i Romani, scacciarono i Greci e fecero di Pietrapertosa la loro Curtis e il loro Oppidum.L’antica chiesa di S. Francesco era una fortezza romana. I padroni del mondo,però, resero Pietrapertosa, come il resto della Lucania, terra incolta e abbandonata al pascolo. Servi e schiavi dappertutto, pochissimi gli uomini liberi. Il ricordo della loro lingua lo ritroviamo nel dialetto pietrapertosano che conservaancora parole e frasi latine, anche se volgarizzate come pupa, scola, longa, crai, pscrai, capa di puella e così via) .


Con la caduta di Roma iniziarono le invasioni barbariche e Pietrapertosa non ne fu esente. Vennero i Goti e poi i Longobardi sotto il cui dominio Pietrapertosa rientrò nel gastaldato di Acerenza). Vennero i Bizantini, maLuca,capo dei soldati bizantini che erano a Pietrapertosa,si ribellò al governatore bizantino della Lucania, perché autoritario e prepotente, chiamò in suo aiuto gli arabi e si convertì all’islamismo. Per oltre venti anni gli arabi di Luca rimasero padroni di questo territorio. Vennero i Normanni e fu proprio sotto il principato del valoroso Roberto che Pietrapertosa acquistò particolare importanza. Nel 1268 si proclamò fedele alla casa sveva, partecipando alla rivolta ghibellina contro i “papisti”Conobbe successivamente l’avvicendarsi delle varie dominazioni straniere. Nel periodo angioino venne, infatti, assegnata con il suo feudo a Guglielmo Tournespè nel 1269 , nel 1278 a Pietro de Burbura e nel 1280 a Giovanni Borbone il quale, nel periodo durazziano, resse le sorti del paese fino alla cessione del feudo da parte del re Ferdinando D’Aragona nel secolo XIV ai Gozzuti e ai Grappini da cui, per le nozze di Violante, oltre la metà del secolo XV ai Diazcarlon, conti di Alife;alla metà poi del secolo seguente alla casa Carafa; e successivamente passava agli Aprano, ai Campolongo, ai De Leonardis, ai Suardi, ai Iubero ed infine ai Sifola di Trani con il titolo di Barone.Dei feudi appartenenti alla Basilicata, Pietrapertosa con 543 fuochi o villani era il ventiduesimo.

Nel giugno del 1647, i contadini pietrapertosani si unirono al maestro di bottega di Potenza,Francesco Antonio Fiorito per partecipare alla manifestazione contro le gabelle imposte dai “ suca sang” ( succhiatori di sangue). Così la povera gente chiamava con disprezzo i ricchi signori che corrispondevano bassi salari a chi lavorava per loro e i percettori addetti alla riscossione delle gabelle e dei tributi.La rivolta, però, fu repressa e i contadini tornarono a pagare con puntualità le gabelle perché non erano ammessi ritardi nei pagamenti e se c’erano, venivano puniti.Per sfuggire alla punizioni i più poveri si allontanavano dal loro paese. A chi si allontanava senza pagare veniva vietato il ritorno e veniva dichiarato bandito. Chiunque poteva arrestarlo e aveva diritto ad un premio in danaro.Nessuno poteva dare lavoro ad un bandito. Il solo offrirgli un pezzo di pane era considerato reato.Per non morire di fame il bandito diventava ladro e per difendersi, si univa ad altri e formavano bande che assalivano e saccheggiavano interi paesi .A proteggere questa povera gente,in cambio di favori e denaro erano baroni, ricchi signori e monaci. Molti monaci diventano anche complici dei banditi: li seguivano nei furti e nelle rapine e alcuni diventano anche capi di queste bande. La banda di Scalandrone,un vecchio contadino di Pietrapertosa, divenuto bandito, operava nella valle del Basento e nel monastero dei Minori Osservanti di Pietrapertosa, attrezzato di spezieria,spesso venivano curati i banditi feriti nei boschi vicini. Tra questi l’abate Cesare. Nell’ottocento, durante il regno di G. Murat, Pietrapertosa fu centro liberale governata da un consiglio comunale, un decurionato che corrisponde all’attuale giunta comunale e un sindaco, tutti nominati dal sovrano. L’ordine pubblico era affidato alla Guardia Urbana, i cui membri erano tutti di nomina regia.Purtroppo l’idea liberale costò a molte famiglie, tra cui quella dei Torraca , l’incendio delle case da parte dei Sanfedisti del Cardinale Ruffo.

Partecipò sia ai moti carbonari del 1820 contro la restaurazione borbonica, sia all’insurrezione del 1848 contro Ferdinando II di Borbone. Partecipò alla seconda guerra d’indipendenza e,Il 17 settembre del 1859, come Castelmezzano,Tricarico, Pomarico ed altri paesi,Pietrapertosa issò la bandiera tricolore con la scritta “ Viva la Costituzione, Viva l’Italia”.

Nel 1860,nella brigata Basilicata, fra i 789 lucani arruolati volontari nelle forze garibaldine al comando del colonnello Clemente Forti, molti i giovani pietrapertosani, e tra questi, Michele Torraca.E la mattina del 21 ottobre del 1860, giorno del Plebiscito,fu grande giubilo per queltricolore con la croce Sabauda che sventolava. Nel 1857 subì i danni di un forte terremoto. Durante il periodo del Brigantaggio, Pietrapertosa fu risparmiatadagli attacchi delle bande di Crocco grazie alla protezione di Michele Canosa, capo brigante di Pietrapertosa.Un avvenimento avvenuto nel 1861 così viene raccontato da Francesco Torraca.”Un giorno capitarono al mio paesello due giovinotti, quasi due adolescenti. Bei giovinotti! Ma furono creduti manutengoli, arrestati, ammanettati. Il “Consiglio di Guerra” si radunò: Pasqualino, Ciccio, Saverio, Don Giuseppe e qualche altro li condannarono alla fucilazione. Che orrore!Che orrore! Sento ancora i pianti di mia madre, sento ancora le strida delle mie sorelle! Mio padre, che non era un liberale del giorno dopo, e che a me e ad altri della mia età insegnava allora, negli ozi forzati, i rudimenti del latino; mio padre, che fracasso il braccio del brigante Armazelle con un colpo del suo bel fucile lungo damaschinato; chiuse la finestra della scuola, ordinò che si chiudessero tutte le finestre della casa, di quella povera casa sorta alla meglio sulle rovine del “palazzo”, che i briganti avevano bruciato nel 1806; chiamò i suoi figliuoli maggiori due dei quali erano stati con Garibaldi al Volturno e raccomandò loro, poi che non potevano fare a meno di andare, che non tirassero su quei disgraziati. I quali, non so come, io vidi ed ora rivedo nella immaginazione, fiorenti di giovinezza, con le mani legate dietro il dorso, in mezzo a due file della Guardia Nazionale, che li conduceva dietro il Convento, nel piano di S.Angelo. E le campane suonavano a morto, e, sul tamburo scordato, Pizzomuto batteva la marcia funebre. Da quel giorno nel piano di S.Angelo, due croci rozzamente incise sopra un masso indicarono il luogo dove furono fucilati gli accetturesi. Quante volte io vi passai davanti, tante li ricordai rabbrividendo, e dubitai forte della giustizia del Consiglio di Guerra”.

I primi anni del 1900 subì un forte spopolamento a causa dell’emigrazione per gli USA e della malaria che falciò la vita di tante persone, soprattutto giovani. A questo si aggiunse una frana che travolsemolte case che si trovavano nella zona adiacente l’ “orto della corte”e, tra queste, il palazzo dei Belsani.La prima grande guerra sottrasse a Pietrapertosa molti giovani che persero la vita sul fronte e nelle trincee.Un bersagliere sul Carso, Rocco Lombardi, così raccontava:”Mangiavamo zucca cruda e, quando avevamo sete, eravamo costretti a bere nelle pozzanghere che erano rosse di sangue”. E Vincenzo Vernucci,partito all’età di 16 anni, raccontava: “avevamo fame, rubavamo le pannocchie nei campi e li cuocevamo, o meglio li annerivamo sulla fiamma delle lettere dei nostri familiari”


E la seconda guerra mondiale non fu diversa dalla precedente: prima soldati al fronte, poi prigionieri e deportati in Germania, dispersi in Russia.Tante le vedove e gli orfani.Un reduce della seconda guerra mondiale, Giuseppe Cavuoti, così racconta:”Prigionieri, abbiamo viaggiato da Padova in Germania, in carri di carbone. Eravamo tutti neri,avevamo sete, ma non avevamo acqua. Ci dissetavamo con le mele che i contadini del Trentino ci lanciavano dai loro campi. E Nicola Cavuoti ricorda i tanti compagni morti assiderati in una Russia gelida al punto che i carrarmati viaggiavano sui fiumi gelati come su autostrade .Nel dopoguerra , la “miseria nera” dovuta alla svalutazione , alla mancanza di lavoro e di cibo al sequestro dei prodotti agricoli da parte della polizia, costrinse nuovamente tanti giovani ad abbandonare il proprio paese.

Oggi Pietrapertosa conta 1312 abitanti ed è preminentemente centro a vocazione turistica Le creste delle Dolomiti, simili a sculture di pietra fanno pensare la frase di Don Oreste Ettorre: “Dio non parla, ma tutto parla di Dio”.

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