CHIESE A MASCHITO

Numerose erano le chiese erette a Maschito, anche di rito bizantino e con liturgia professata in lingua greca sino al XVII secolo. Originariamente una quindicina, ne sono sopravvissute al tempo ed al degrado solo tre: la Chiesa Madre di Sant’Elia Profeta, quella del Purgatorio, e quella della Madonna del Caroseno.
Le chiese sicuramente esistite e scomparse sono: la chiesa di S. Venere, la chiesa della Vergine di Costantinopoli, la chiesa di S. Basilio, la chiesa di S. Domenico, la chiesa di S. Nicola, la chiesa di S. Rocco e la chiesa della Madonna delle Fonti.

Il rito bizantino fu professato a Maschito sino al 1628 quando il domenicano Diodato Scaglia della Diocesi di Melfi, con Bolla episcopale, lo proibì prima nelle comunità greco-albanofone di Maschito e di Ginestra e, molto più tardi, anche a Barile.

Il rito bizantino resiste ancora in Basilicata, a San Paolo e a San Costantino Albanese. Ancora, la grande fede e devozione popolare per Sant'Elia Profeta, di chiara ed inconfutabile matrice orientale, legano Maschito all'etnia dei suoi antenati. 

La chiesa del Caroseno
Fu costruita dai Greci Albanesi di Corone, rinomata per un pregevolissimo affresco della Madonna del 1558, (Madonna col Bambino) riportato alla luce nel 1930 durante i lavori di restauro della chiesa, e per due grandi quadri relativi alla Pentecoste e alla Presentazione di Gesù al Tempio entrambi risalenti alla fine del '700 

La chiesa del purgatorio o della Madonna del Rosario
Conserva un artistico quadro della Madonna di Costantinopoli tratto dall'omonima cappella, andata in rovina. Della chiesa oggi dedicata alla Vergine del Rosario di Pompei s'ignora la data di costruzione: si ritiene, però, che questa risalga ai primi anni della fondazione di Maschito e possiede le reliquie di Fratello Rosario Adduca, un servo di Dio originario di Maschito

La chiesa Madre di Sant'Elia - Piazza dei Caduti
Ha un'unica navata, decorata in stucco. Contiene due tele ad olio del '500, e il quadro della "Madonna dei sette veli", ritenuto miracoloso e perciò assai venerato. Edificata nel 1698 ad opera degli albanesi ivi residenti, è dedicata a Sant'Elia ed è ornata di artistiche decorazioni e pitture a stucco di squisita fattura di Domenico Pennino, nonché di due grandi quadri attribuiti a Giovanni Battista Caracciolo di Napoli (1570-1637) o ad artisti della sua scuola, e un quadro originale del maestro Barberis, riguardanti la Sacra Famiglia. Il 5 agosto 1939 la Madonna dei Sette Veli, ruppe i veli e li ricompose in mirabile toilette alla presenza di tre bambini e di molti fedeli. Sull'altare maggiore e sotto la volta, sono riprodotti, ad opera del Pennino, la "Gran Cena", del Tiepolo e la "Trasfigurazione di Gesù fra Mosè ed Elia sul monte Tobar", dal quadro di Raffaello delle Gallerie Vaticane. La Chiesa Madre di Sant'Elia fu consacrata il 14 novembre 1653 dal vescovo di Venosa Mons D.F. Tauruso e intitolata a Sant'Elia profeta. Nel 1698 venne, dal vescovo di Venosa Mons. De Laurentis, dedicata alla SS. Trinità. Con decreto del 14 novembre 1909, Mons. D. Felice del Sordo, vescovo di Venosa, ne ordinava la chiusura perché "inadatta all'esercizio del culto e pericolosa alla santità dei fedeli". Dopo lunghi e costosi restauri delle decorazioni e pitture, l'8 settembre 1950 la chiesa fu riaperta al culto.

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